Viaggio in Georgia - Parte 6 - Lo Svaneti
Escursioni intorno a Mestia
Quella nello Svaneti è stata la tappa più
lunga. A causa dei trasferimenti piuttosto complicati e della disponibilità del
volo Mestia – Kutaisi, abbiamo deciso di rimanere 3 notti. All’indomani
dell’arrivo a Mestia abbiamo deciso di fare un’escursione ad un punto
panoramico posto sopra alla cittadina, “la croce”, ben visibile anche dal
nostro ostello. Abbiamo trovato vaghe informazioni per raggiungerla in vari
forum su internet e sulla guida Lonely Planet, ma ci ispirava di più un’opzione
“fai da te” ovvero procurarci una cartina e improvvisare cercando di fare un
giro ad anello. Salutata la signora Manoni, il presunto marito ci ha dato un
pezzo di pane facendoci segno di darlo al loro cane: da lì in poi sarebbe stato
il nostro compagno di escursione (il cane).
Purtroppo l’ufficio turistico era chiuso quindi
ci siamo affidati al gps e all’istinto. Per scovare l’imbocco del sentiero ci
siamo affidati anche un po’ alla fortuna. La salita, su tracce non sempre
visibili ma con dei segni gialli sui sassi e sugli alberi di tanto in tanto, si
è rivelata piuttosto ripida e tortuosa, con finale su un versante ancora
coperto di neve. La tracca gps trovata su siti tedeschi coincideva quasi
totalmente con lo pseudo sentiero, e nel giro di un’oretta e mezza abbiamo
coperto i circa 750 metri di dislivello per raggiungere la croce. Unici altri escursionisti
incontrati in questo punto panoramico mozzafiato sono stati tre freeriders di cui uno
in costume da bagno floreale.
La vista da qui è eccezionale: l’orizzonte
si perde tra i monti dello Svaneti, fino alle vette più imponenti del Caucaso
al confine con la Russia. La tentazione di salire un altro po’ era troppo forte,
ma il prezzo sarebbe stato una ravanata nella neve rimasta. Ma nello Svaneti si
va una volta nella vita e il prezzo ci sembrava sostenibile per qualche
centinaia di metri. Infatti poco sopra il panorama ci ha deliziato ancora di
più con l’imponenza delle cime gemelle del Monte Ushba (4700 m), raggiunta una
piccola baita in legno (molto simile alle nostre!) che formava con i monti
circostanti una cornice perfetta. Naturalmente non ci andava di riscendere
dalla stessa via dell’andata, esposta a sud, perciò abbiamo preferito ravanare
per un paio d’ore in mezzo metro di neve molle. Per fortuna la temperatura era
molto piacevole, anzi direi mite, ma ci siamo comunque promessi di evitare
ravanate nella neve il giorno successivo. Lungo la discesa, per evitare un
ultimo tratto nevoso, abbiamo scelto di “tagliare” nel bosco per un centinaio
di metri per raggiungere una traccia indicata sul dispositivo gps: diciamo
cento metri non proprio agevoli ma di certo avventurosi. Anche in questo caso
le tracce su Openstreetmap si sono rivelate preziose.
Monte Ushba - 4.700 m |
Mestia. In alto a sx la cimetta con la croce |
Tornando a Mestia, nonostante i chilometri,
il dislivello e la neve nelle gambe, siamo andati a spasso per la cittadina
fino ad imbatterci nel Museo di Storia ed Etnografia dello Svaneti. La
struttura moderna e il bel giardino ci hanno invitati ad entrare: è stata un’ottima
scelta! La prima parte del museo ripercorre la storia e i costumi delle
popolazioni dello Svaneti, con un focus in particolare sull’iconografia
religiosa. La seconda parte è una splendida mostra fotografica di Vittorio Sella,
nipote di Quintino Sella, fondatore del Club Alpino Italiano. Vittorio Sella
alla fine dell'800 effettuò diverse spedizioni nello Svaneti e qui scattò delle
immagini di una qualità unica, considerate ancora tra le più belle fotografie nella
storia dell’alpinismo (Vedi Wikipedia). Inoltre nei suoi diari appuntò le sue osservazioni e le
sue esperienze tra gli svan, contribuendo a ricostruire la storia più recente
di queste popolazioni. E’ grande la riconoscenza verso questo alpinista
italiano!
Fotografia di Vittorio Sella |
Fotografia di Vittorio Sella |
La sera birretta, cenetta in un moderno e
delizioso ristorantino gestito da delle giovani ragazze, e passeggiatina
serale. A ripensarci mi mancano le delizie culinarie dello Svaneti, anche se
molto aromatizzate!
L’indomani siamo riusciti a trovare l’ufficio
informazioni aperto, nel quale ci sono state consigliate due escursioni: quella
fatta il giorno prima e il trekking fino ai piedi del ghiacciaio del Chalaadi.
In realtà quest’ultima opzione non ci convinceva particolarmente, poiché il
percorso sembrava snodarsi in una valle molto stretta. Per questo abbiamo
chiesto informazioni riguardo a dei villaggi indicati sulla mappa,
raggiungibili da un sentiero che non sembrava impegnativo, in una valle con un’ottima
esposizione al sole. La signorina non ci spingeva particolarmente
verso questa destinazione, eppure l’idea di vedere dei paesini di montagna ci
intrigava. Ed è stata una grande scelta! In questo caso, oltre ai supporti del
giorno precedente, potevamo disporre di una specie di cartina, utile se non
altro a sapere il nome della nostra meta. Dopo cinque minuti di cammino avevamo
un nuovo compagno di viaggio, un simpatico cucciolone nero. La prima parte del
tragitto era scorrevole e priva di neve, la primavera stava risvegliando la
natura e una miriade di ruscelletti ci accompagnavano. Ad un certo punto siamo arrivati a quella che era stata una postazione militare al tempo della guerra
contro la Russia del 2008-2009. Ancora oggi, a chi si avvicina al confine
montuoso, le guardie di frontiera controllano i documenti, nonostante non si
possa svalicare se non con attrezzatura alpinistica.
Postazioni militari della recente guerra contro la Russia |
Vista sul Monte Ushba |
Poco sopra i resti della
fortificazione ci siamo imbattuti in una sfida tra tori, abbiamo preferito
proseguire a passo svelto. Purtroppo da qui in poi ci hanno aspettato due
lunghe ore di ravanata nella neve alta, psicologicamente e fisicamente
stressante. Finalmente siamo arrivati all’imbocco della Valle di Mulakhi: una
decina di minuscoli villaggi cospargono, con le loro torri, vasti prati poco
ripidi. Già da lontano abbiamo notato che gran parte di questi paesi erano
ridotti a ruderi, ma in tutti c’erano segni di resistenza umana: abitazioni con
campi, bestiame e panni stesi. Attraversando il primo paese, Murshkheli, ci siamo
imbattuti in un sorridente anziano signore che arava l’orto. Inizia a parlarci,
ovviamente abbiamo interpretato ci chiedesse dove stavamo andando, e alla
risposta sembrava contento scuotendo il capo. Poco sotto una signora faticava a
far muovere un giogo di buoi che trainava una slitta carica di letame, in mezzo
a case antiche e sgangherate. E’ sembrato di entrare nei racconti dei nonni, racconti
di gioventù, di vita di campagna di un tempo che qui non c’è più. E’ stato
emozionante e ha contribuito a farmi
pensare a quante cose superflue invadono la nostra vita.
Valle di Mulakhi |
Murshkheli |
Tra le case di Murshkheli |
Pochi passi più in basso scorgiamo una
ragazza vestita con i loro abiti “tradizionali” uscire di casa (una casa
davvero molto umile) parlando al telefono usando le cuffiette. L’impatto è
stato forte, ma è la conferma che gli esseri umani sono animali sociali e
cercano contatti con altri esseri umani e che sono disposti a rinunciare ad
altre cose ma non alla socialità, al contatto con il mondo, soprattutto in un
mondo in cui la modernità un attimo dopo è già vecchio. Il ritorno a Mestia dalla
strada asfaltata è stato lungo ma piacevole.
L’ultimo giorno ci siamo recati al minuscolo
aeroporto Regina Tamar di Mestia. Purtroppo il tempo un po’ incerto non
consentiva un volo sicuro: annullato. A questo punto il problema era
raggiungere Kutaisi via terra. Per fortuna siamo riusciti ad accordarci con due
simpatici backpackers polacchi per noleggiare un taxi per Zugdidi: il viaggio è
stato mooolto lungo, ma confortevole. A Zugdidi non abbiamo dovuto aspettare
molto il marshrutka per Kutatisi che, pieno zeppo, ci ha portato a destinazione
in un paio d’ore.
Commenti
Posta un commento