Istruzione primaria e montagna - 4. L'importanza delle scuole per contrastare lo spopolamento
IV. L’IMPORTANZA DELLE SCUOLE PER CONTRASTARE LO SPOPOLAMENTO
Nel paragrafo
precedente, tra le conseguenze socio-culturali dello spopolamento è stata
indicata la chiusura dei servizi pubblici principali, tra cui quello scolastico.
Il calo demografico può far sì che ci
sia un numero di bambini insufficiente a giustificare il mantenimento dell’apertura
della scuola elementare, ma qual è la relazione tra chiusura dei servizi e
abbandono dei paesi di montagna?
Abbiamo
visto che sono molteplici e complesse le cause che hanno messo in atto questo
processo, a partire dalle trasformazioni economiche. E’ stato pure detto che
proprio nel corso di questo processo sono intervenute diverse variabili che
hanno in qualche modo contribuito ad accelerare lo spopolamento: tra queste
abbiamo citato la globalizzazione (intesa come insieme di tendenze politiche ed
economiche sostenute dalle concezioni neoliberiste), elemento propulsore che ha
non solo favorito, ma addirittura spinto, tramite le indicazioni dei diversi
organismi internazionali, verso il decentramento
e la privatizzazione dell’istruzione[1].
Se il primo può essere visto come un fattore “positivo”, in quanto garantirebbe alle amministrazioni, anche quelle più piccole, di gestire in modo più autonomo la scuola nelle loro realtà, l’abbinamento con la privatizzazione (non necessariamente del servizio scolastico, bensì dei servizi connessi) ha contribuito a raccogliere nei centri urbani di fondovalle l’istruzione primaria, causando la chiusura delle scuole periferiche. La crisi economica in corso ha rafforzato questa tendenza costringendo le amministrazioni ad una riduzione della spesa pubblica, che raramente è stata sinonimo di riduzione degli sprechi e ottimizzazione dell’efficienza.
Se il primo può essere visto come un fattore “positivo”, in quanto garantirebbe alle amministrazioni, anche quelle più piccole, di gestire in modo più autonomo la scuola nelle loro realtà, l’abbinamento con la privatizzazione (non necessariamente del servizio scolastico, bensì dei servizi connessi) ha contribuito a raccogliere nei centri urbani di fondovalle l’istruzione primaria, causando la chiusura delle scuole periferiche. La crisi economica in corso ha rafforzato questa tendenza costringendo le amministrazioni ad una riduzione della spesa pubblica, che raramente è stata sinonimo di riduzione degli sprechi e ottimizzazione dell’efficienza.
Lo
studio Scuola e montagna: una nuova
alleanza educativa, commissionato dal Ministero dell’Istruzione, Università
e Ricerca (MIUR) ha evidenziato una sorta di relazione “a due tempi” nel
processo di spopolamento, mutata nel suo percorso storico: se in un primo
momento la chiusura delle scuole è stata una conseguenza del calo demografico dei
primi decenni, in un secondo tempo nei
comuni dove sono state chiuse le scuole primarie lo spopolamento è stato molto più pronunciato
rispetto a quelli che hanno mantenuto aperte le scuole. Secondo le
redattrici di questa ricerca, i dati raccolti dimostrerebbero che la mancanza di servizi essenziali e in
particolare la chiusura delle scuole sarebbe una delle principali cause
dell’abbandono[2]. Questo significa che poco a poco
i comuni privi di scuole sarebbero destinati a scomparire, senza dimenticare
che le località che subiscono maggiormente questo processo sono le frazioni e i
villaggi periferici, dove le scuole e gli altri servizi mancano quasi completamente.
La stessa Commissione Europea nella sua Quarta
relazione sulla coesione economica e sociale[3] sottolinea l’importanza della fornitura
di servizi pubblici nelle aree rurali, suggerendo la creazione di centri multi
servizi. La chiusura della scuola come anche degli altri servizi contribuisce
infatti a far aumentare la marginalità di un territorio e i disagi collaterali.
Nel Documento di Montegabbione, risultato
del Convegno nazionale “Le scuole montane
come presidi educativi di eccellenza”[4], si sottolinea che tenere aperta
una scuola investendo risorse sul territorio abbasserebbe i costi sociali di
tutto il sistema: con più abitanti si possono garantire anche altri servizi e
mantenere un sistema di protezione delle fasce più deboli; comporterebbe meno pendolarismo
e quindi più sostenibilità, migliore qualità della vita e aumento del tempo
utile disponibile.
E’
necessario tuttavia considerare la questione della qualità didattica che la
scuola di montagna deve saper garantire al pari delle scuole dei centri urbani
più grandi. E’ innegabile che le situazioni che si possono venire a creare sono
quelle di piccole realtà pluriclasse eccessivamente variegate dal punto di
vista dell’età e che i genitori potrebbero scegliere di far frequentare
comunque ai propri figli scuole più grandi nonostante siano più lontane, anche
per l’idea che l’ambiente di una “scuola di fondovalle” possa favorire
maggiormente l’apprendimento, la socializzazione, la socialità. Per questo
motivo, sia dalla ricerca di Rossi e Zucca sia dalla Conferenza di
Montegabbione, emerge la necessità di pensare alla scuola di montagna non come
una “scuola di serie B” e nemmeno come una versione impoverita del modello
delle scuole di città, ma come una scuola diversa:
la
scuola di montagna è diversa perché è diversa la vita in montagna: le modalità
delle relazioni sociali, del sistema produttivo e della vita culturale sono
profondamente diverse […]. La scuola in montagna lega fortemente la comunità
locale con l’habitat naturale, aspetto che purtroppo è precluso alle scuole di
città e periferie urbane. Questo permette lo sviluppo del senso di identità
collettivo, in un ambiente ecologicamente privilegiato, e pone le basi per la
tutela della cultura, della storia e delle tradizioni locali.[5]
Partendo
da questa evidenza, risulta necessario a questo punto riflettere sulla
possibile forma dell’istituzione
scolastica nelle aree di montagna. Nei paragrafi
che seguono verrà dato uno sguardo alla legislazione scolastica vigente e
successivamente saranno avanzate delle ipotesi di alcuni possibili modelli da
applicare alla scuola di montagna, non soltanto perché questa possa rimanere
aperta, ma affinché essa possa legarsi in una “alleanza educativa” con il
territorio.
[1] Per un approfondimento si rimanda a
Cobalti A., Globalizzazione e istruzione,
2006.
[2] Rossi A. e Zucca M. (a cura di), Report
di Ricerca Scuola e montagna: una nuova
alleanza educativa, finanziato dal MIUR, 2010, pp. 22-24. Nella ricerca si
parla di una relazione “causa-effetto” tra la chiusura delle scuole e lo
spopolamento. Dando uno sguardo più critico a questa ricerca tuttavia non si
individuano ulteriori variabili da prendere in considerazione, come ad esempio
la contemporanea soppressione di altri servizi nello stesso comune.
[3]
Commissione Europea, Regioni in crescita, Europa in crescita.
Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, Maggio 2007, p. 57.
[4] Il Convegno nazionale “Le scuole montane come presidi di
eccellenza. Quali condizioni amministrative, didattiche ed organizzative per
una nuova governante dell’istruzione nei territori montani: buone pratiche a
confronto” è stato organizzato il 7 maggio 2011 da Anci Umbria, Uncem
Umbria, Provincia di Terni, Comune di Montegabbione e Legambiente per discutere
e affrontare le tematiche riguardanti la salvaguardia e la valorizzazione dei
presidi educativi delle aree montane.
[5] Cit. Le
scuole montane come presidi educativi di eccellenza. Documento di Montegabbione,
2011.
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