Istruzione primaria e montagna - 2. Lo spopolamento: evoluzione demografica delle zone di montagna

II.                        LO SPOPOLAMENTO: EVOLUZIONE DEMOGRAFICA DELLE ZONE DI MONTAGNA

Parlando di spopolamento montano intendiamo quel processo di progressivo calo demografico che interessa vaste aree e regioni d’Italia e d’Europa, con il conseguente esodo verso zone urbanizzate o in via di urbanizzazione, situate perlopiù in pianura o sul fondovalle. Si tratta di una tendenza che interessa le aree rurali in generale (l'OCSE definisce le zone rurali come comunità con una densità di popolazione inferiore a 150 abitanti per chilometro quadrato), in particolare nell’Italia meridionale, in Finlandia, nelle Svezia e  Scozia settentrionali, nella Germania orientale, nelle parti orientali della Polonia e in altri nuovi Stati membri dell’ Unione Europea.[1]




Storicamente, tra il 1500 e il 1900 i residenti in montagna furono particolarmente numerosi; in questo periodo la popolazione alpina (quindi di tutte le regioni d’Italia, Francia, Austria, Svizzera, Liechtenstein, Slovenia che si trovano sulle Alpi) è quasi triplicata, passando dai 2,9 milioni ai 7,9 milioni del 1900. In Italia lo spopolamento  delle Alpi è iniziato verso la fine del XIX secolo, quando l’industrializzazione e il declino dell’agricoltura e del settore primario attirarono verso le città di pianura molti giovani provenienti dalle aree rurali. Inoltre la stessa economia agricola delle pianure, aiutata dalla prima ondata di meccanizzazione agraria e quindi dalle sue produzioni più abbondanti ed economiche, cominciò a fare concorrenza a quella delle zone montane, dove la coltivazione intensiva era poco praticabile per via dei fattori climatici e morfologici del territorio. Analogamente l’allevamento in montagna divenne poco conveniente e pure l’artigianato subì la concorrenza delle industrie delle città.[2] In una ricerca sull’evoluzione demografica e sullo spopolamento della Valsesia, Irene Basso definisce l’abbandono della montagna come

la conseguenza del passaggio dall’austera economia di sussistenza a quella di mercato. La prima era caratterizzata dalla chiusura delle comunità in piccole cellule che vivevano quasi esclusivamente della produzione famigliare a cui era giocoforza unire una drastica compressione dei consumi; la seconda invece è fondata sull’apertura a mercati vicini e lontani, sulla circolazione delle merci, sugli scambi commerciali incrementati da una larga espansione dei consumi.

Naturalmente ci fu un’accelerazione di questo processo in seguito al boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, ma soprattutto dagli anni Settanta in poi, su spinta della crescente globalizzazione e della decadenza dello stato-nazione a favore dei mercati, in queste aree subirono un forte declino i servizi e le politiche pubbliche [3].

Non dobbiamo guardare allo spopolamento montano considerando solamente il mutamento della struttura economica: forti sono state e sono tuttora le motivazioni sociali e psicologiche che spingono gli abitanti dei monti a lasciare i paesi di origine. Il tenore di vita dei cittadini veniva (utilizzo il tempo passato per sottolineare la radicale trasformazione avvenuta dalla seconda metà del secolo scorso) considerato desiderabile dagli abitanti della montagna, abituati a respirare una sensazione di marginalità e di inferiorità. Basti pensare agli appellativi “montanaro” e “contadino”, spesso ancor oggi in uso come insulto o come segno di scherno, tesi a rinforzare uno stereotipo di arretratezza e rozzezza attribuito agli abitanti di località rurali.
Interno di un'abitazione abbandonata in un paese
di montagna: una vera e propria fuga...
Tra le problematiche sociali che hanno caratterizzato lo spopolamento in seguito alle profonde trasformazioni economiche, dobbiamo ricordare la crisi identitaria subita dalle comunità di queste aree: i media e la scuola di massa hanno diffuso un nuovo modello di riferimento culturale “industriale” fortemente destabilizzante poiché in contrasto con il tessuto socio-culturale legato alle tradizioni, alle relazioni comunitarie, alla famiglia. Parafrasando Durkheim potremmo dire che degli elementi di solidarietà organica si sono scontrati improvvisamente con gli elementi prevalentemente meccanici di solidarietà presenti nelle società montane. Questo conflitto di valori, particolarmente sentito in luoghi riconvertiti in località turistiche stagionali, è sfociato talvolta in forme di disadattamento psico-sociale, come l’etilismo e la tendenza al suicidio: anche per queste motivazioni molte famiglie hanno preferito trasferirsi per crescere i propri figli in un ambiente considerato più sicuro e stabile.[4]

1     LO SPOPOLAMENTO OGGI

Non è completamente corretto dire che ogni area di montagna sia soggetta al calo demografico. A riguardo, analizzando i risultati delle ricerche effettuate sul nostro paese, vediamo che nell’ultimo decennio in gran parte dei comuni montani compresi tra tutte le regioni italiane, si è verificato un incremento del numero di abitanti (vedi Tabella 3). Solo la popolazione dei comuni montani di alcune regioni meridionali sembra essere diminuita, mentre in Trentino – Südtirol c’è stato un incremento addirittura del 10,9%.

Tabella 3. Variazione popolazione residente nei comuni italiani montani e non montani, per regione, 2001/2011
Regione
Montani
Non montani
Var. % 2001 - 2011
Var. % 2001 – 2011
Piemonte
2,8%
6,1%
Valle d’Aosta
7,5%
-
Lombardia
7,0%
10,6%
Trentino – Südtirol
10,9%
-
Veneto
2,6%
10,0%
Friuli – Venezia Giulia
-0,6%
5,3%
Liguria
4,5%
1,8%
Emilia – Romagna
5,2%
11,8%
Toscana
4,0%
7,8%
Umbria
9,9%
10,1%
Marche
4,3%
9,0%
Lazio
5,9%
12,6%
Abruzzo
0,2%
8,6%
Molise
-2,6%
1,7%
Campania
-2,6%
2,7%
Puglia
-7,0%
1,9%
Basilicata
-3,8%
1,2%
Calabria
-5,0%
1,7%
Sicilia
-2,4%
1,8%
Sardegna
2,7%
2,3%
Totale
3,2%
7,0%
Fonte: elaborazione IFEL – Dipartimento Economia Territoriale su dati Istat, 2011

 Questi dati sembrano quindi cozzare contro tutto ciò che è stato illustrato in precedenza. Se però diamo uno sguardo alla Tabella 4, notiamo che i comuni montani più piccoli, quelli con meno di duemila abitanti, hanno subìto un decremento della popolazione dell’1,6%.
Tabella 4. Variazione popolazione residente nei comuni italiani montani e non montani, per classe demografica, 2001/2011
Classe di ampiezza demografica
Montani
Non montani
Var. % 2001 - 2011
Var. % 2001 – 2011
0 – 1.999
-1,6%
4,5%
2.000 – 4.999
2,3%
8,6%
5.000 – 9.999
5,2%
10,6%
10.000 – 19.999
6,5%
10,7%
20.000 – 59.999
7,8%
7,1%
60.000 – 249.999
7,3%
5,5%
>=250.000
-
2,5%
Totale
3,2%
7,0%
Fonte: elaborazione IFEL – Dipartimento Economia Territoriale su dati Istat, 2011

Per le altre classi demografiche l’incremento è proporzionale alla grandezza del comune: quelli tra i 2.000 e i 4.999 abitanti hanno visto una crescita del 2,3%, e quelli tra i 20.000 e i 59.999 abitanti sono cresciuti demograficamente del 7,8%.   E’ bene a questo punto ricordare che il 64,5% dei comuni con meno di duemila abitanti si trova in montagna (Tabella 2) e bisogna inoltre tenere conto che la variazione demografica positiva (3,2%) è di intensità inferiore rispetto al dato medio nazionale (6,4%).  Se si analizzano tutti questi dati in profondità si può quindi giungere alla conclusione che esistono due distinte tendenze demografiche:

  •  Spopolamento dei comuni più piccoli, ossia quelli con meno di 2.000 abitanti e principalmente localizzati nel Mezzogiorno;
  • Incremento demografico nei centri di medie e grandi dimensioni.

Questi fenomeni di urbanizzazione e spopolamento a livello locale-regionale sono la conseguenza della rivoluzione economica europea verificatasi negli ultimi decenni, che ha travolto le occupazioni economiche tradizionali (agricoltura, allevamento, piccolo artigianato) portando nuove attività e fonti di reddito. Questo è avvenuto tuttavia in modo frammentario, soprattutto nei fondovalle o lungo le grandi vie di comunicazione, dove sono andate a crearsi aree di afflusso turistico o  industriali, lasciando altri territori ai margini, destinandoli così all’impoverimento strutturale e demografico.
La gente che si va concentrando negli spazi urbani del fondovalle si trova ad acquisire in molti casi gli svantaggi delle zone densamente urbanizzate, quali il traffico,  le aree di insediamento periferiche marginalizzate, l’inquinamento, la perdita di identità.[5] Secondo una ricerca condotta in Liguria, finanziata dal Ministero dell’Istruzione, lo spopolamento della montagna è caratterizzato da una vera e propria fuga della componente giovane della popolazione, soprattutto femminile (quindi riproduttiva) e quando ha raggiunto un livello di studio medio alto (una parte potenzialmente produttiva).[6]
Abbiamo già detto che le cause dell’abbandono dei villaggi di montagna non vanno ricondotte solamente a fattori economici ma anche a componenti sociali e psicologiche quali la sensazione di marginalità, l’abbassamento della percezione della qualità della vita e l’aumento del senso di “distanza” dai centri urbani. Si analizzano nel prossimo paragrafo le principali conseguenze ed i costi che comporta lo spopolamento montano.




[1] Cfr. Commissione Europea, Regioni in crescita, Europa in crescita. Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, Maggio 2007, Cap.1, Tendenze territoriali a livello locale.
[2] Cfr. Basso I., Evoluzione demografica e spopolamento della Valsesia, tesi di laurea. Questa ricerca, individuata su Internet tramite il servizio Google Scholar, è reperibile su un blog, indirizzo in bibliografia.
[3] Cfr. Cobalti A., Globalizzazione e istruzione, 2006, cap. II
[4] Cfr. CIPRA Internaz., 1° Rapporto sullo stato delle Alpi, 1998, p. 93.
[5] Rossi A. e Zucca M. (a cura di), Report di Ricerca Scuola e montagna: una nuova alleanza educativa, finanziato dal MIUR, 2010
[6] Ibidem, pag. 8.

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