Tbilisi è la città che non ti aspetti,
forse la sorpresa più bella del viaggio. È un concentrato di contraddizioni, di
disordine, di semplicità, ma anche di modernità, estetica, voglia di cambiare.
Arrivati alla “stazione" dei
marshrutka, una delle tre della capitale, veniamo catapultati nel caos: tutto
attorno un rumoroso mercato, bancarelle di ogni tipo, cani che scorrazzano
liberi, gente che corre, che contratta, che cerca di venderti qualcosa.
Ovviamente il nostro primo pensiero era trovare la guesthouse che avevamo
prenotato. Non disponendo di connessione internet, ci siamo dovuti arrangiare
con gli screenshot del percorso salvati da Google Maps il giorno precedente. Le
nostre doti orientistiche ci hanno condotti senza difficoltà alla bella
guesthouse, posta in collina in una zona panoramica, percorrendo tra l’altro una via di un chilometro dove avremo
contato quasi un centinaio di officine-carrozzerie. Qui le macchine le sanno
far durare. L’accoglienza della proprietaria della guesthouse e dell’anziana
madre è stata favolosa: un bel bicchiere di vino e abbondanti khinkali, cioè
dei ravioloni ripieni di carne aromatizzata oppure di formaggio o patate,
praticamente ci hanno offerto la cena. La cameretta è bella curata, il bagno e
la cucina non sono in comune coi proprietari ma con gli altri ospiti. La nostra
tappa a Tbilisi ci serviva come base di avvicinamento alla Georgia
sud-occidentale, avremmo dedicato successivamente qualche giorno alla visita
della città. Però è stato più forte di noi, una gita serale in centro ce la
siamo concessa. Ed è stato molto piacevole! Presa l’economicissima ed
efficiente linea metropolitana, abbiamo raggiunto Rustavelis Gamziri, il viale
principale della città. Il centro potrebbe essere benissimo di una qualsiasi
città europea. Bellissimi esternamente il Palazzo del Parlamento, il Teatro
dell’Opera e il Museo della Georgia. Una passeggiata digestiva veramente
piacevole.
L’indomani, grazie alle gentilissime
indicazioni della nostra famiglia ospitante (e soprattutto grazie alla Lonely
Planet) riusciamo a raggiungere un’altro punto di partenza di marshrutka.
Prossima destinazione: Davit Gareja.
Preso il minibus, il problema a questo
punto era capire quale sarebbe stato il luogo in cui saremmo dovuti scendere
per poi prendere il taxi per raggiungere la nostra meta. Dopo un’ora e mezza un
po’ per sesto senso, un po’ che l’autista immaginava dove saremmo voluti
andare, il marshrutka ci scarica davanti a un gruppetto di taxi a Sagarejo. Il
taxista anzianotto che si offre di accompagnarci non mollava quanto avremmo sperato sulla
contrattazione, alla fine cediamo noi.
Davit Gareja (დავითგარეჯის), Kakheti
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Verso Davit Gareja |
La strada che collega Sagarejo a Davit
Gareja (o David Gareji) è una perfetta prova speciale di rally. Difficile da
dirsi se si ballasse di più sulle parti asfaltate o quelle completamente
sterrate. Il nostro pilot...ehm, taxista sembra divertirsi parecchio,
soprattutto quando la strada è invasa di pecore (e in questa zona di pecore ne
vediamo veramente tante!) e quando le buche superano i 150 cm di circonferenza.
Nel baule, l’artigianale impianto a GPL ha retto anche questa volta (ma dal
benzinaio l’autista ci ha fatto scendere, per precauzione). Sessanta chilometri
di rally ma soprattutto di enorme bellezza: poco dopo la partenza la campagna
lascia spazio a sterminate ed aride praterie, valli morbide cosparse di greggi
che, nella grandiosità del paesaggio, sembrano sassolini bianchi lanciati sulle
colline. Nel mezzo del niente, le greggi sono custodite da pastori solitari,
con i loro immancabili bastoni e copricapi. Gli strati rocciosi delle vallate
si alternano nei colori: striature verdi, rosse, blu, arancio. Dopo un’oretta
arriviamo a Davit Gareja.
Questa località, posta sul confine con
l’Azerbaijan, è famosa per essere un complesso monastico risalente al VI sec.,
epoca in cui Davit Gareja, un padre asceta siriano che viaggiò in Medio
Oriente, portò il cristianesimo in Georgia e proprio in quest’area fondò una
quindicina di monasteri. Solo due sono ancora visitabili, distanti poche centinaia
di metri uno dall’altro: i monasteri di Lavra e di Udabno.
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Monastero di Lavra |
Il monastero di Lavra, posto alla
fine della strada proveniente da Sagarejo, è incassato in una enorme crepa
della montagna ed è per metà edificato, l’altra metà scavato nella roccia.
Fu ristrutturato in epoca sovietica ed ora
è di nuovo abitato da monaci. Si trova in una posizione incantevole, affacciato
su una valle semidesertica, che guarda verso l’infinito. Un'oasi di pace. Salendo circa mezz’ora
da un impervio sentierino in mezzo a splendidi alberi in fiore, si raggiunge la
cresta sommitale della montagna: qui si si apre un ulteriore scenario
meraviglioso! Si tratta del confine naturale con l’Azerbaijan. Scendendo pochi
metri verso il precipizio in Azerbaijan si raggiunge il monastero di Udabno.
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Una delle chiese di Udabno |
A differenza di quello di Lavra, si tratta di un complesso di brevi gallerie
scavate nella roccia, molte delle quali affrescate...si respira il profumo
dell’antichità! ...e di maleducazione, visto che questo monastero, essendo conteso tra
la Georgia e l’Azerbaijan, alla fine non lo cura nessuno. Purtroppo l’inciviltà
umana, scritte, sfregi ed escrementi hanno rovinato molti affreschi. Rimane
comunque un posto affascinante e poi potete dire di essere stati in Azerbaijan!
Tutti questi sentieri percorsi non sono segnalati, si va un po’ a caso e si
rischia di girare o di sconfinare troppo, tra l’altro in alcune zone scoscese e
abbastanza pericolose.
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Monastero di Udabno, non la chiesetta, ma le grotte |
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Verso l'Azerbaijan |
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Monastero di Lavra |
Il nostro paziente taxista ci ha poi
riportato a Sagarejo mostrandoci, come all’andata, la resistenza delle Opel dei
primi anni ‘90 del secolo scorso.
La meta successiva è Sighnaghi. Il
problema però era arrivarci. Bisognava fermare un marshrutka in corsa sulla
strada, una prova ardua. Minibus ne passano, ma bisogna fermare quello giusto:
bisogna decifrare la scritta e avere la prontezza di muovere il braccio prima
che il marshrutka ti sfili accanto ai cento all’ora.
Grazie al fatto che avevamo nel frattempo
imparato qualche lettera georgiana, grazie alla conferma di una vecchietta e grazie
alla prontezza di riflessi di due giovani trentenni, riusciamo a fermare il
minibus. Stipato di pneumatici ma stringendoci ci siamo stati anche noi. Stiamo
attraversando il Kakheti, regione a vocazione vitivinicola: da qui
proviene il vino Qvevri, del quale la vinificazione, effettuata in anfore
sotterrate, è riconosciuta Patrimonio Mondiale dall’UNESCO. Considerate che in
Georgia è stata trovata la cantina vinicola più antica della storia, risalente
a circa 6000 anni fa. Questa zona, più collinare, splende della fioritura
primaverile.
Sighnaghi (სიღნაღი)
Questa cittadina sorge su una ripida
collina posta come una terrazza sulla pianura circostante e di fronte alle cime
innevate del Caucaso. E’ molto curata e potrebbe sembrare una località turistica
italiana (scopriamo che in effetti lo stile architettonico del villaggio
proviene dall’Italia), circondata da mura del XVIII secolo. Sono presenti molte
strutture ricettive e un buon numero di turisti provenienti da tutto il mondo
(qui abbiamo visto, facendo finta di niente, due ragazze italiane). Stavolta siamo
diventati matti a trovare la nostra guesthouse, ma l’accoglienza è stata strepitosa: torte, té, dolci vari e ovviamente un paio di assaggi del vino
casalingo. Noi siamo andati a cena, gli altri ospiti, russi, hanno degustato
fino a mezzanotte insieme al simpatico padrone di casa.
Finita la nostra visita nel Kakheti,
prendiamo il marshrutka, che questa volta è quasi lussuoso, e torniamo a Tbilisi.
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